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Rifiuto Collaborazione al Procedimento Disciplinare

Il rifiuto a collaborare, senza giustificato motivo, all’istruttoria di un procedimento disciplinare da parte di un dipendente o di un dirigente, appartenenti alla stessa o ad una diversa amministrazione rispetto a quella dell’incolpato, o la resa di dichiarazioni false o reticenti, è sanzionabile da parte dell’amministrazione di appartenenza con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, per un numero di giornate commisurate alla gravità dell’illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di 15 giorni.

Per tale via, il legislatore mira sia disincentivare il silenzio dei colleghi del dipendente incolpato che all’acquisizione di tutte le informazioni, anche favorevoli al dipendente, che siano rilevanti per il procedimento disciplinare.

In particolare, il lavoratore, anche se dirigente, che
appartenga alla medesima amministrazione dell’incolpato o ad una diversa;
e sia a conoscenza per motivi di ufficio o di servizio di informazioni “rilevanti per un procedimento disciplinare in corso”;
e rifiuti, “senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’autorità disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti”;
“è soggetto all’applicazione, da parte dell’amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravità dell’illecito, contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni” (art. 55-bis, co. 7). In particolare, per quanto riguarda le sanzioni disciplinari di cui sopra, ascrivibili al dirigente (ex art. 55- bis, co. 7, come pure ex art. 55-sexies, co. 3), fermo il disposto dell’art. 21, D.Lgs. n. 165/2001, si applicano, a meno che non sia diversamente stabilito dal contratto collettivo, le disposizioni di cui al co. 4 del predetto art. 55-bis (sanzione applicata con contestazione dell’addebito e svolgimento della procedura da parte dell’ ufficio competente per i procedimenti disciplinari), “ma le determinazioni conclusive del procedimento sono adottate dal dirigente generale o titolare di incarico conferito ai sensi dell’articolo 19, comma 3” (art. 55, co.4).

In sintesi, il dovere di “collaborare” al procedimento disciplinare da parte dei colleghi di lavoro o dei superiori gerarchici del soggetto sottoposto al procedimento stesso è subordinato alla sussistenza delle seguenti condizioni :
“appartenenza” alla medesima o diversa amministrazione dell’incolpato;
“conoscenza” (per ragioni di ufficio o di servizio) di informazioni importanti per il procedimento disciplinare in corso;
richiesta di collaborazione da parte dell’autorità disciplinare procedente;
“rilevanza” delle informazioni, nel senso che queste devono rivestire un peso notevole nella dinamica del processo disciplinare.
Il parametro per valutare la condotta collaborativa sembra correlato più che al corretto svolgimento della prestazione lavorativa, al buon andamento dell’impresa e della sua organizzazione. E’ peraltro intuibile che il significato della disposizione può dar luogo ad interpretazioni diversificate.

In particolare suscitano interrogativi, sia l’individuazione delle fattispecie giustificative della mancata collaborazione; sia la ragione alla base della responsabilità disciplinare del dipendente per le condotte testé descritte. Non è ben chiaro, infatti, quali sia il dovere del lavoratore, la cui inosservanza determina la responsabilità disciplinare in questione o se si debba ricondurre detta responsabilità al mancato rispetto del dovere di diligenza e di fedeltà .

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Inquadramento e Retribuzione dell’Apprendista

Divieto di retribuzione a cottimo. L’apprendista non può essere retribuito a cottimo (art. 2, co.1, lett. b), D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167). Con questo divieto s’intende impedire che l’apprendista : a) sia sottoposto a ritmi stressanti e che poco insegnano sotto il profilo formativo; b) subisca un pregiudizio dall’applicazione di una retribuzione commisurata al risultato, proprio in ragione della ridotta capacità produttiva dovuta alla minore esperienza di lavoro (Min. Lav. Interpello 1 marzo 2007, n. 13).

La legge non fa cenno al divieto di retribuzioni ad incentivo. E’ perciò consentita l’erogazione di forme d’incentivo e di premi collegati all’andamento aziendale (sotto il profilo della produzione e/o del fatturato) o al risultato del reparto. Il mancato rispetto del divieto di retribuzione a cottimo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria che va dai 100 ai 600 euro e, in caso di recidiva, varia da 300 a 500 euro (art. 7, co. 2, D.Lgs. n. 167/2011).

La retribuzione percentualizzata e gradualizzata. Il D.Lgs n. 167/2011 (art. 2, co.1) affida la disciplina del contratto di apprendistato all’autonomia collettiva e, in particolare, “ad appositi accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Non si tratta, tuttavia, di una delega “in bianco”. Il legislatore, infatti, àncora la contrattazione collettiva al rispetto di una serie principi, tra i quali quelli relativi alla retribuzione ed all’inquadramento dell’apprendista. Sulla scorta di tali principi, il decreto prevede che la retribuzione prevista per gli apprendisti dai contratti collettivi possa essere inferiore a quella dei comuni lavoratori subordinati, purché sia stabilita “in misura percentuale e in modo graduale alla anzianità di servizio” (la retribuzione si incrementerà durante il periodo di formazione) (art. 2, co.1, lett. c), D.Lgs. n. 167/2011).

L’inquadramento inferiore. In alternativa a tale modalità retributiva, il legislatore contempla la “possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante (in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro) ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto” (art. 2, co.1, lett. c), D.Lgs. n. 167/2011).

Le due opzioni alternative (minore retribuzione o minore inquadramento) possono anche non essere previste dal contratto collettivo. In caso lo siano, la violazione delle disposizioni contrattuali collettive attuative dei richiamati principi (si pensi, ad es., ad un inquadramento più basso dei due livelli inferiori consentiti dalla legge) comporta una sanzione amministrativa pecuniaria che varia dai 100 ai 600 euro e, in caso di recidiva, da 300 a 1500 euro (art. 7, co. 2, D.Lgs. n. 167/2011).

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Come Lavorare con le Ripetizioni

Questa guida è dedicata a tutti coloro che adesso sono disoccupati e che hanno una buona cultura di base scolastica. Per cercare di guadagnare qualcosa vi posso spiegare come si fa ad organizzare il lavoro e la clientela che vuole ricevere delle Ripetizioni scolastiche.

Premetto in partenza col dire che un ragazzo che da ripetizioni puo richiedere al suo cliente 8/10 € all’ora.

Per prima cosa creare dei volantini con scritto il nostro titolo di studio, le materie scolastiche di cui possiamo dare le ripetizioni, la zona in cui possiamo esercitare e il nostro numero di telefono scritto tante volte nel fondo del foglio in modo da poterli strappare e portarli a casa.

I volantini, per una maggiore pubblicità, è opportuno metterli nei pressi di scuole medie e superiori, oppure in luoghi pubblici come il supermercato.

Dopo dobbiamo avere solo pazienza aspettando le telefonate.

Quando arriverà la telefonata di una ripetizione dobbiamo offrire ai nostri clienti anche la possibilità di recarsi in casa in modo che loro non si scomodino.

Arrivati davanti all’alunno dobbiamo avere tutto il necessario: fondamentale è lavorare con un libro di testo e cancelleria di nostra proprietà che darà un immagine positiva del nostro lavoro.

Chi da ripetizioni, solitamente si fa pagare alla fine di ogni lezione. Una lezione dura massimo 2 ore. Per essere regolari dal punto di vista fiscale, è necessario emettere una ricevuta per prestazione occasionale. Per realizzare la ricevuta è possibile utilizzare il modello disponibile sul sito Prestazioneoccasionale.com.

Oltre ai volantini la nostra pubblicità sarà anche il passaparola tra i clienti soddisfatti.

Commentate per dare consigli su come migliorare questo lavoro part-time che ormai è molto diffuso in Italia per i disoccupati laureati.

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Violazione dei Doveri Fondamentali del Lavoratore e Punibilità

Nei confronti del lavoratore che violi i doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro sono applicabili delle sanzioni disciplinari, anche se la specifica violazione non è presente nel codice disciplinare.

La Cassazione, 13 giugno 2012, n. 9644, relativamente alla sospensione del servizio di un lavoratore, dipendente dell’ Agenzia delle Entrate di Benevento, non trovato sul luogo di lavoro, nonostante avesse timbrato il cartellino, ha affermato che in “ tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il provvedimento disciplinare faccia riferimento a situazioni che concretizzano una violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione”.

La Corte richiama una precedente sentenza in tal senso, Cass. n. 16291/2004, in cui viene precisato che in violazione di un dovere fondamentale connesso al rapporto di lavoro, il lavoratore è punibile sia con sanzioni conservative che espulsive.

Nel caso esaminato, l’assenza ingiustificata del dipendente concretizza “la violazione di alcuni dei doveri fondamentali” connessi al rapporto di lavoro. Di conseguenza, la condotta del lavoratore, che costituisca grave violazione di tali doveri fondamentali, è sanzionabile con il licenziamento disciplinare a prescindere dalla sua inclusione o meno nel codice disciplinare, ed anche in difetto di affissione dello stesso, purchè siano osservate le garanzie previste dai co. 2 e 3, art. 7, Stat. Lav.

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Pubblicità del Codice Disciplinare nel Pubblico Impiego

In seguito all’emanazione del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che ha modificato il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il legislatore ha introdotto nuove regole sull’esercizio del potere disciplinare nel pubblico impiego.

Tali regole costituiscono norme imperative, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 cod. civ, e sono, pertanto, caratterizzate dall’automatico inserimento nei contratti collettivi con conseguente sostituzione delle clausole difformi.

In particolare, in applicazione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege, non possono essere validamente irrogate sanzioni disciplinari se, prima dell’infrazione, non sia stato predisposto e pubblicizzato il codice disciplinare recante l’indicazione delle predette infrazioni e relative sanzioni

Il codice va affisso all’ingresso della sede di lavoro o, alternativamente, può essere pubblicato sul sito istituzionale dell’amministrazione (art. 55, co. 2, ult. periodo, D.Lgs. n. 165/2001, come sostituito dall’art. 68, co. 1, D.Lgs. n. 150/2009).

In merito a tale disposizione, si osserva quanto segue
la modalità alternativa alla pubblicazione sul sito è solo quella dell’affissione all’ingresso della sede di lavoro poiché solo questo luogo particolare è espressamente considerato dalla norma vigente
la legge non rende obbligatoria la pubblicazione del codice disciplinare sul sito dell’amministrazione de qua, limitandosi ad introdurre un criterio di equivalenza tra la suddetta modalità telematica e la tradizionale affissione del codice cartaceo all’ingresso della sede di lavoro;
le amministrazioni potranno completamente sostituire la pubblicità tramite affissione con la pubblicazione on line solo qualora l’accesso alla rete internet sia consentito a tutti i lavoratori, tramite la propria postazione informatica”. Ciò, in quanto “la pubblicazione risponde all’esigenza di porre il dipendente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze.

In proposito, il Ministero della Pubblica Amministrazione raccomanda che il codice disciplinare venga pubblicato con adeguato risalto e indicazione puntuale della data, oltre che sull’home page internet anche di quella intranet dell’amministrazione, solitamente utilizzata per le comunicazioni interne del datore di lavoro, al fine di assicurarne la massima visibilità e conoscibilità. Si raccomanda inoltre alle amministrazioni di precostituire una prova dell’avvenuta pubblicazione, al fine di poter sviluppare la difesa nell’ambito di un eventuale contenzioso, chiedendo alla struttura interna competente alla pubblicazione di comunicare formalmente l’avvenuto adempimento.